I rischi più percepiti dalle aziende a livello globale

Le indagini del Global Risks Report 2020 del World Economic Forum (Wef) e dell’Allianz Risk Barometer 2021 di Allianz

“Il rischio non esiste finché non si materializza” è un concetto che piace ricordare agli esperti nella consapevolezza che tra la necessaria percezione per evitarlo, minimizzarlo o mitigarlo e il conteggio dei danni, c’è l’azione dell’uomo e quella dei fattori naturali. Così, le valutazioni a valle del 2020 e delle percezioni per il 2021 mostrano quanto il panorama sia diventato più complesso, con una serie di rischi che interagiscono e s’incrementano a vicenda più che negli anni precedenti.

Per stilare il Global Risks Report 2020 del World Economic Forum (Wef) e l’Allianz Risk Barometer – Identifying the major business risks for 2021 di Allianz, gli autori hanno posto ai loro circa 1000 associati, nel primo caso, e a 2800 esperti di rischio, nel secondo – domande sui rischi geopolitici, economici e finanziari; su quelli relativi ai disastri naturali, al cambiamento climatico come crisi dell’acqua o altre crisi ambientali; sul rischio cyber e altri eventi tecnologici come il furto o la frode di dati; e, ovviamente, il 2020 insegna, sul rischio di malattie infettive e pandemie.

I risultati, e non poteva essere diversamente, collocano il Covid-19 tra i primi posti, ma i risultati sono diversi rispetto a edizioni precedenti anche in altre voci, quali la valutazione del breve e del lungo termine, o la differenziata percezione del rischio tra intervistati di generazioni differenti e, infine, il fatto che tutti mostrino una chiara consapevolezza di quanto sia diventata più complessa l’interconnessione tra le varie tipologie di rischio cui gli imprenditori, manager e risk manager devono prepararsi a gestire.

La top 3 dei rischi percepiti dell’Allianz Risk Barometer Report 2021

Nel mondo:

In Italia:

Per la prima volta nella storia dello studio Global Risks Perception Survey del Wef, i cui membri sono stakeholder molto diversificati – dagli imprenditori dell’ultima generazione ai top manager delle più grandi società globali, a membri e consulenti di governi e di istituzioni di ricerca – l’incapacità di gestire il cambiamento climatico domina tra i rischi a lungo termine sia per probabilità sia per effetto, seguita da altre minacce di tipo ambientale: eventi climatici estremi, perdita di biodiversità, disastri naturali, disastri naturali di origine antropica e incapacità di mitigare il cambiamento climatico.

È in particolare per i Global Shapers del Wef, il gruppo di imprenditori e leader più giovani, che le questioni ambientali stanno al primo posto sia nel breve termine sia nel lungo termine. I Global Shapers mettono l’accento sulle conseguenze dei rischi ambientali considerandoli nella loro intera catena conseguenziale: la perdita di biodiversità, per esempio, colpisce l’approvvigionamento alimentare e può innescare dunque alterazioni sociali ed economiche, delle strutture delle popolazioni e geopolitiche.

Il trio del Covid e il cambiamento climatico

Per gli esperti del rischio all’attività produttiva nel mondo intervistati da Allianz in 92 paesi o territori, quello più temuto per il 2021 è la business interruption (BI), seguita dal rischio pandemico e da incidenti cyber a carico dei sistemi informatici delle società, tre rischi che il rapporto riunisce sotto il titolo “Il trio del Covid”.

Tuttavia, non bisogna perdere di vista i rischi connessi al cambiamento climatico. Come si legge nel rapporto, “ciò che la pandemia e il cambiamento climatico hanno in comune è che sono entrambi rischi globali sistemici. (…) La necessità di contrastare il cambiamento climatico e il riscaldamento globale deve essere tra le priorità come mai prima, come provano numerosi recenti record negativi”. Oltre agli incendi e alle tempeste, il rapporto cita le temperature degli ultimi sei anni che sono state le più alte mai registrate, anche in Europa.

Gli eventi naturali catastrofali del 2020, che includono quelli naturali da origine antropica, pur non registrando punte di danni economici e risarcibili (come fu il caso degli uragani Harvey, Maria o Katrina), sono sopravvenuti con una frequenza e un’intensità senza precedenti, portando a ingenti danni sociali ed economici, oltre a danni risarcibili ancora non interamente quantificati, ma che supereranno globalmente gli 83 miliardi di dollari Usa.

Si parla dei devastanti incendi lungo la costa ovest degli Stati Uniti – tra cui l’incendio “giga” che ha bruciato più di 1 milioni di acri, la coda dei terribili incendi in Australia – la sua stagione di incendi più drammatica, con 30 tempeste tropicali – un numero senza precedenti, le tempeste invernali e le inondazioni che hanno flagellato regioni dell’Europa, dell’India e degli Stati Uniti.

“Se il 2020 è stato l’anno della pandemia, nel 2021 il cambiamento climatico deve tornare in cima all’ordine del giorno dei cda e dei top manager“, spiega Michael Bruch, responsabile globale del Risk consulting presso Allianz Global Corporate & Specialty (Agcs), il gruppo che ha stilato il Barometro.  “Il cambiamento climatico esigerà a molte imprese un aggiustamento delle strategie e dei modelli di business verso un mondo che produca meno anidride carbonica. I risk manager devono stare in prima fila per valutare i rischi e le opportunità di questa transizione, che riguarderà cambiamenti nei mercati e nelle tecnologie, rischi reputazionali, alle policy, legali o fisici”.

Secondo il Barometro, è sul fronte dei danni fisici che le società sono più esposte al cambiamento climatico. Tuttavia, oltre ai danni materiali agli attivi o alle proprietà delle imprese del settore produttivo da catastrofi naturali o da eventi climatici estremi, gli esperti sono anche preoccupati per l’impatto che un aumento delle temperature globali con il conseguente rischio di alluvioni, ad esempio, potrà avere su l’operatività nelle sedi, sulla logistica, sulle filiere della fornitura, sulla propria forza lavoro e sul contesto sociale e come pianificare per mitigare questi scenari.

Negli ultimi cinque anni, il rischio di business interruption ha rappresentato il 60% delle richieste di risarcimento da parte delle aziende assicurate. Nell’anno del Covid, un 94% degli intervistati ha subito interruzioni dell’attività a causa di alterazioni nella supply chain e un 26% per circostanze legate al contesto globale. Ciò ha alzato la consapevolezza nelle aziende della necessità di pianificare per il rischio di interruzione “ai più alti livelli del management” anche per “trovare nuovi modi per gestire i rischi non assicurabili”, si legge nel rapporto Allianz. Le “tradizionali” interruzioni dell’operatività diventeranno una minaccia seria al business nel futuro se saranno causate dal cambiamento climatico, commenta Philip Beblo, responsabile del Gruppo globale utilities servizi e It di Agcs. “Il clima sta cambiando e assisteremo sempre di più a rischi quali intense tempeste di grandine, inondazioni, tornado e uragani in aree non sempre associate a questi eventi estremi”.

Una delle principali lezioni della pandemia è stata che “la business interruption causata da eventi estremi non è più una possibilità teorica, ma che è reale”, aggiunge Beblo.

Entrambi i rapporti hanno tra le voci di rischio anche le difficoltà economiche che attraversano le varie regioni del mondo, l’alto indebitamento e il relativamente lento tasso di crescita, che riducono i margini per i risultati che possono derivare da politiche fiscali o monetarie espansive e di stimolo. Nel Barometro in questo tema, a mettere a repentaglio l’operatività delle imprese sono al 4° posto gli sviluppi del mercato, al 5° i cambiamenti normativi, all’8° posto gli sviluppi macroeconomici e al 10° posto i rischi di moti violenti di origine politica.

Nel rapporto Wef questi rischi sono una reale preoccupazione per il 76% dei membri complessivi e per il 75% dei membri più giovani, seppure tra questi ultimi le guerre economiche rappresentino un rischio per il 78%.

“C’è ancora lo spazio perché gli stakeholder affrontino questi rischi, ma la finestra di opportunità si sta chiudendo”, secondo il presidente del Wef, Børge Brende, che commenta: “È necessaria un’azione coordinata e multi-stakeholder per mitigarne gli effetti peggiori e creare resilienza nel settore produttivo e nella società”.

Per quanto riguarda la business interruption, alle imprese che hanno vissuto sulla propria attività gli impatti della pandemia, è ormai chiaro quanto questo rischio sia rilevante. Così, anche per il rischio cyber, sono ormai un numero esiguo le aziende che non considerino i dati come il “nuovo oro” che, quindi, non abbiano in alta considerazione questo tipo di vulnerabilità. Il cambiamento climatico, invece, è un treno che va a sbattere, ma che vediamo a rallentatore e percepiamo dunque diversamente.

Resta da capire con quanta rapidità le aziende reagiranno alle nuove circostanze, anche rispetto alla mitigazione del rischio non assicurabile che passa dall’organizzazione e dalla pianificazione. Tuttavia, il 2020 insegna, non ci sono più linee di demarcazione nette tra le tipologie di rischio.

Una buona notizia che emerge in particolare dal rapporto Wef è che gli imprenditori e i leader più giovani sono ben consapevoli e informati degli aspetti critici e delle opportunità della tecnologia e quanto certi rischi, tra cui quelli derivanti dal cambiamento climatico, debbano essere visti sia nel breve sia nel lungo termine.

Si capirà nei prossimi mesi con quanta rapidità e agilità risponderà l’ecosistema assicurativo, esso stesso colpito dai medesimi rischi.

Tra gli analisti del rischio è tornata a circolare l’espressione “Black Swan” che non si sentiva quasi più dalla crisi finanziaria del 2008. Una possibilità, e l’incubo degli esperti di rischio, è che il cigno nero prenda la forma, per esempio, di una interruzione materiale e virtuale dei sistemi informatici in un mondo ormai completamente interconnesso e sempre in rete. Il 2021 ci ha già servito un primo caso di studio da analizzare, e in fretta: le 3 settimane e 3 giorni d’interruzione della fornitura elettrica nel Texas a causa di una eccezionale tempesta invernale. I danni sono ancora tutti da quantificare.

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