Sulla rappresentazione del rischio assicurativo: la sentenza della Corte d’Appello di Milano n° 3170/2022

Commento dello Studio Legale Morganti & Associati –

Lo scorso 11 ottobre 2022, la Corte d’Appello di Milano ha emesso un’interessante pronuncia (n. 3170/2022) in tema di dichiarazioni inesatte e reticenti ex art. 1892 cod. civ., con la quale, nel valutare la responsabilità dell’intermediario assicurativo rispetto all’invio di un questionario non aggiornato, ha chiarito che soltanto l’assicurato, quale contraente sottoscrittore della polizza, ha l’onere di rendere dichiarazioni veritiere ex art. 1892 cod. civ., mentre alcun obbligo di controllo rispetto alla sottoscrizione del questionario si impone in capo all’agenzia assicurativa.

Come è noto, l’esatta determinazione del rischio costituisce un elemento fondamentale di tutta la disciplina del contratto di assicurazione. È con riferimento ad esso, infatti, che l’assicuratore decide in merito alla convenienza del contratto e stabilisce l’ammontare del premio. L’assicuratore, quindi, deve essere messo in condizione di conoscere quelle circostanze e quei fattori che incidono sull’entità e sull’intensità del rischio assicurato, in quanto, in un’ottica microeconomica, maggiore è il rischio per il singolo assicurato, maggiore è il premio che lo specifico contraente dovrà pagare.

L’intera disciplina delle dichiarazioni precontrattuali sul rischio riposa dunque nell’esigenza di garantire l’esatta corrispondenza tra rischio reale e rischio rappresentato.

Il legislatore, a mezzo degli artt. 1892 e 1893 cod. civ., pone pertanto a carico dell’assicurato un vero e proprio onere di corretta informazione nei confronti dell’assicuratore. Al venir meno di questo requisito, ovvero al ricorrere di dichiarazioni inesatte e reticenti, congiuntamente ad altri elementi, sono attivabili i rimedi che possono condurre all’annullamento del contratto (art. 1892 cod. civ.) o al recesso dell’assicuratore (art. 1893 cod. civ.).

Secondo il dettato normativo, e in base al dettame della giurisprudenza ormai consolidata, per l’esperibilità dell’azione di annullamento devono ricorrere simultaneamente tre condizioni:

  1. a) la dichiarazione da parte dell’assicurato deve essere inesatta e reticente;
  2. b) la dichiarazione deve essere resa con dolo o colpa grave;
  3. c) la dichiarazione inesatta e reticente deve essere determinante nella formazione del consenso dell’assicuratore, ovvero relativa a circostanze tali per cui l’assicuratore non avrebbe dato il suo consenso (influenza “grave” delle informazioni decisive), o lo avrebbe dato a condizioni diverse (influenza “lieve” dei fatti rilevanti), se avesse conosciuto le vere circostanze di fatto (Cassazione civ. 22 marzo 2013 n. 7273).

Venendo alla sentenza in commento, nel caso all’esame della Corte di appello milanese la società assicurata S. S.r.l. contestava all’intermediario assicurativo SI. S.r.l. di aver inviato alla Compagnia un questionario non aggiornato, contenente una dichiarazione di assenza di sinistri negli ultimi due anni, benché fosse stato edotto dall’assicurata dell’esistenza di pregressi sinistri.

Sulla base di questa deduzione, ipotizzava una responsabilità dell’intermediario per le dichiarazioni reticenti o inesatte sul rischio, che, in altra causa, avevano provocato ex art. 1892 cod. civ. l’annullamento della polizza ed il rigetto della domanda di indennizzo.

La Corte di Appello, confermando la già favorevole sentenza di primo grado, ha ritenuto infondata la domanda di accertamento della responsabilità dell’intermediario sulla base di precisi e significativi passaggi argomentativi.

Segnatamente, la Corte ha innanzitutto accertato che:

(i) la polizza esaminata, costituita dal frontespizio e dalle norme generali di contratto, deve considerarsi un unico documento, che risulta firmato, in calce, dall’assicurata e che quest’ultima non ha mai disconosciuto, così da accettare e approvare l’intero contenuto dello stesso;

(ii) è pacifico tra le parti che l’Intermediario non ha agito in rappresentanza dell’Assicurata/contraente e che il Broker ha apposto la propria firma nel riquadro riservato alla quietanza esclusivamente nella qualità di agente/esattore;

(iii) la natura delle dichiarazioni ex art. 1892 cod. civ. è imputabile in via esclusiva all’assicurata che, utilizzando la normale diligenza, avrebbe non soltanto dovuto leggere il contratto prima di sottoscriverlo, ma altresì rilevare la mancanza della dichiarazione poi risultata inesatta e/o reticente circa l’inesistenza di sinistri pregressi;

(iv) ha quindi precisato che l’attività di collaborazione richiesta al Broker senza rappresentanza non esonera l’assicurando dal fornire dichiarazioni veritiere sulla propria condizione di rischio e tantomeno implica un obbligo dell’intermediario di controllarne la veridicità, accertando che, nella specie, l’intermediario aveva garantito il corretto scambio informativo tra l’assicurando e la Compagnia;

(v) ha infine rilevato che neppure poteva trascurarsi la circostanza secondo cui la società assicurata, in qualità di imprenditore già sottoscrittore di polizze analoghe a garanzia della propria attività, avrebbe potuto rendersi conto con l’ordinaria diligenza delle conseguenze derivanti da una inesatta rappresentazione del rischio e, quindi, operare i necessari correttivi.

Sulla base delle indicate motivazioni, la Corte d’Appello ha rigettato il gravame affermando l’importante principio secondo cui “solo S., quale contraente della polizza, aveva l’onere di rendere ex art. 1892 cc dichiarazioni veritiere, sulla base dei dati di cui aveva piena disponibilità e conoscenza, e che alcun obbligo di controllo competeva a SI.”.

Dunque, l’eventuale conoscibilità o conoscenza da parte del broker (che non ha la rappresentanza né dell’Impresa di assicurazione né dell’assicurando) dei sinistri pregressi del contraente/assicurato non rileva ai fini della dichiarazione ex art. 1892 cod. civ. sullo stato del rischio. A tal fine rilevano unicamente le dichiarazioni rilasciate dal contraente/assicurato che, nella specie, avrebbe potuto e dovuto verificare, mediante la semplice lettura della documentazione contrattuale in suo possesso, le dichiarazioni riportate nel testo di polizza, e non avrebbe potuto e dovuto ignorare le eventuali conseguenze derivanti dall’inesatta rappresentazione dello stato del rischio.

Le riflessioni dei giudici di appello valorizzano il carattere uberrimae fidei del contratto di assicurazione. Solo l’assicurato può essere al corrente delle informazioni richieste dall’assicuratore in sede di stipula della polizza, e l’apposizione della sua sottoscrizione sul questionario di polizza consente certamente di presumere, salvo prova contraria, una equipollente volontà del sottoscrittore di approvare quanto dichiarato nel documento medesimo, gravando sull’assicurato l’onere, presupposto, di controllarne il contenuto. L’assicurato/contraente è pertanto responsabile esclusivo della propria autonoma scelta di essere più o meno trasparente con l’assicuratore, rischiando in tal caso l’annullamento del contratto.

Mentre infatti, generalmente, è il soggetto assicurato che potrebbe rivestire la qualità di “contraente debole”, poiché tenuto a sottoscrivere un contratto basato su moduli redatti a priori, col pericolo di incorrere nella sottoscrizione di alcune clausole a sé sfavorevoli, da un diverso punto di vista è l’assicurazione che, in caso di verificazione del rischio, potrebbe dover corrispondere in un momento incerto al contraente una somma non definibile a priori. Da qui la ratio della disciplina posta dagli artt. 1892 e 1893 cod. civ. e l’importanza attribuita all’acquisizione più precisa possibile di quelle informazioni che difficilmente l’assicuratore potrebbe conoscere se non riferite dall’assicurando, e che costituiscono il presupposto imprescindibile ai fini della corretta valutazione del rischio.

Il principio di diritto sancito dalla Corte d’appello nella sentenza in esame può considerarsi espressione dei più generali principi di tutela dell’affidamento del terzo e di autoresponsabilità, secondo cui l’autore di una dichiarazione negoziale risponde delle conseguenze sfavorevoli derivanti dalle proprie dichiarazioni negoziali false o erronee innanzi ai terzi, i quali abbiano fatto affidamento in buona fede sulla veridicità delle dichiarazioni altrui. Principi, questi, che costituiscono il fondamento della disciplina posta dagli artt. 1892 e 1893 cod. civ. e che impongono all’assicurato/contraente un dovere di collaborazione, secondo correttezza e buona fede, ai sensi dell’art. 1337 cod. civ., a pena di invalidità del contratto.

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