Intelligenza artificiale. Un’opportunità inevitabile.

Articolo a cura di
Camilla Bassi
Fondatore e Amministratore Delegato di Blue Underwriting Agency S.p.A.

Il progresso tecnologico non si può arrestare. Ignorarne le nuove forme e la velocità con cui si stanno concretizzando non rappresenta un rischio, ma un danno certo.

“L’intelligenza artificiale è lo specchio dell’ingegno dell’uomo: ne riflette le ambizioni ma costringe al confronto con il senso profondo dell’agire e dell’essere. È come una nuova forma di luce che illumina cose mai viste, resta però agli uomini il compito di scegliere la direzione del suo splendere”.
(Risposta fornita da Chat GPT, il 29.09.2024, alla domanda “Che definizione filosofica daresti dell’IA?”)

La tentazione di affidare a un’intelligenza artificiale il compito di scrivere queste righe è stata forte, lo confesso. Avrei risparmiato tempo – basta scaricare, in pochi secondi, un’app gratuita per accedere a ChatGPT – e sicuramente il risultato sarebbe stato migliore in termini di coerenza dell’esposizione, integrazione degli argomenti e sintesi dei temi affrontati.

Perché allora chiedervi di leggere ancora una volta, le parole faticosamente redatte da un impreciso e disordinato essere umano? No, non esistono risposte che valgano per tutti. Per quanto mi riguarda – per esempio – la resistenza psicologica all’uso di questo strumento è in prima battuta causata dalla stessa sensazione che avevo, da ragazzina, quando copiavo un compito (…giuro che accadeva raramente). Mi assaliva un senso di colpa impossibile da contenere, conseguenza dell’aver agito scorrettamente nei confronti di chiunque avesse poi letto il mio (?) lavoro.

Non si tratta però solo di etica del lavoro o di elusione del dovere, ma soprattutto del limite nel risultato, un’evidente perdita di originalità nella risposta ottenuta che risulta – per quanto corretta e precisa – irrimediabilmente generica.

Non riporto le valutazioni di qualcun altro, ho proprio fatto il test. Ho chiesto alla “macchina” un articolo di circa duemila parole su questa travolgente evoluzione tecnologica e sulle possibili concrete applicazioni nel nostro settore. Il risultato ottenuto – provateci! – ha confermato tutti i miei timori. A ChatGPT sono bastati pochi secondi per redigere un centinaio di righe che sembravano estrapolate da un opuscolo pubblicitario, a metà strada tra un registro divulgativo per incompetenti e la standardizzata formalità di una tesina universitaria.

Una piattezza incontestabile che non è però conseguenza del processo, un limite di un programma non ancora perfettamente settato che potrà venire migliorato nella prossima release, ma è l’inevitabile conclusione logica dell’applicazione di regole che – almeno per il momento – sono state definite con enorme prudenza dai ricercatori. La genericità nei contenuti deriva – per quanto ne sappiamo – unicamente dalla volontà di circoscrivere, con le regole della società civile, il pensiero sintetico dell’elaboratore. La struttura di questo tipo di intelligenza artificiale cosiddetta “reattiva” (è la forma più semplice di IA, in cui un sistema risponde a un input in modo automatico, senza memoria storica o consapevolezza del passato o del futuro) appoggia su una sconfinata quantità di dati e informazioni che devono poi essere distillati, compattati e definiti in un’espressione di poche decine di lemmi.

Di fatto è come se la macchina facesse una media di miliardi d’informazioni, trovasse le più confermate e diffuse sul tema e le proponesse rispettando i limiti imposti dai creatori. Un amico informatico mi ha proposto questo esempio, per chiarire quanto avviene: “Immagina di avere a disposizione tutti i colori che esistono, anche quelli che non conosci, per realizzare una nuova sfumatura cromatica: il risultato finale, se li misceli, se li usi tutti, sarà – quasi certamente – un marrone sbiadito”.

Se le leggi, l’esperienza, la formazione, le abitudini, le paure, le speranze, i valori, non sono mai riusciti a limitare il pensiero originale dell’uomo (…quantomeno non di tutti) lo hanno saputo o meglio dovuto fare le regole nei codici di programmazione che, comunque, stanno alla base di questa forma di IA.

Se vi chiedessi di rispondere alla domanda “Dio esiste?” senza essere faziosi, nel rispetto di tutte le religioni esistenti, citando solo fonti certe e non di parte, utilizzando tutti i testi che volete ma non quelle di polemisti, di atei e di credenti ortodossi – che sarebbero troppo di parte – ne deriverebbe  un responso necessariamente piatto e poco significante.

Viviamo un periodo estremamente peculiare in rapporto all’informazione. Il timore di fake news, dell’informazione pilotata, ci spinge addirittura a rinunciare al sapere, se non è certo. Le macchine obbediscono anche a queste regole di programmazione che – insieme a quelle della statistica – generano un risultato modesto: un bigino ben scritto.

Dov’è sta allora l’intelligenza delle macchine? Artificiale o meno. Dove sono le novità in questa “WIKIPEDIA automatizzata”?

Un importante scienziato inglese ha sintetizzato il dubbio che resta alla base di tutte le nostre paure e speranze sul futuro: “Possono o potranno davvero pensare le macchine?”.

Il fatto incredibile è il periodo in cui questo studioso si è posto l’interrogativo. Non si tratta infatti di un nostro contemporaneo ma di Alan Turing, il visionario matematico che non solo ha formulato la questione ponendola esattamente in questi termini in un articolo scritto nel 1950, ma ha anche provato a fornire qualche risposta.

Avete capito bene, ci aveva già pensato settantaquattro anni fa, quando ancora non esistevano le tastiere o i mouse e i computer non erano fatti come li intendiamo oggi. L’ENIAC – il primo “calcolatore” della storia, realizzato nell’Università della Pennsylvania – occupava una stanza di nove metri per trenta, pesava quaranta tonnellate, utilizzava schede perforate e poteva “gestire” una quantità d’informazioni modestissima (qualche migliaio di byte).

Si tratta di un riassunto assolutamente schematico di quel periodo – chiedo quindi scusa ai tecnici e agli storici dell’informatica – che ci racconta però quanto incredibile sia stata quella intuizione e la genialità della risposta che il professore di Cambridge aveva provato a definire, strutturando un metodo razionale di valutazione della capacità di pensiero di una macchina, il cosiddetto IMITATION GAME (andate a rivedere il film).

La cosa però più interessante è che uno dei più grandi matematici di tutti i tempi – che ricordiamo morì a meno di quarant’anni, probabilmente suicida, perseguitato per la sua omosessualità dalla retriva e becera giurisprudenza e cultura (?) del periodo – aveva intuito la necessità di un approccio olistico sulla natura del ruolo della macchina e sulla necessità d’imporci dei limiti nell’approccio all’intelligenza artificiale.

Olistico perché tutti i piani del pensiero filosofico e scientifico oltre che delle regole del vivere collettivo ne erano, ne sono e ne saranno sempre impattati.

Alan Turing aveva invitato se stesso e tutti a porsi quella domanda, non per ottenere una risposta  – lui stesso aveva premesso che sarebbe servita una tuttora inesistente definizione di “macchina” e di “intelligenza” per poter formulare una risposta efficace – ma per provocare una riflessione sulla complessità della stessa, una riflessione che avrebbe e ha necessità di un’integrazione sui piani scientifici, filosofici, giuridici, strategici e persino psico-antropologici.

Alan Mathison Turing (Londra, 23 giugno 1912 – Wilmslow, 7 giugno 1954)

Non ce l’abbiamo fatta in settant’anni, ma questo già lo sapete. Il problema è che lo sviluppo tecnologico ha poi accelerato e abbiamo perso il contatto con quella domanda. Mentre le popolazioni della terra hanno continuato a massacrarsi in nome di qualche inesistente razza o divinità, il pensiero scientifico e le macchine si sono evoluti in modo talmente rapido che persino i princìpi giuridici tradizionali sono risultati totalmente inutili così come le teorie dei filosofi e dei sociologi non ancora adeguate.

All’inizio dell’anno scorso (oltre settant’anni dopo l’articolo citato) è stata pubblicata una paradossale petizione del Future of Life Institute – una ONG che raccoglie centinaia tra i più importanti accademici, imprenditori e studiosi di politica contemporanea – in cui veniva chiesta una moratoria universale di sei mesi nell’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale.

Si tratta di vero e proprio panico, peraltro degli stessi “addetti ai lavori”: non riusciamo a restare al passo con lo sviluppo tecnologico e quindi, per un po’, fermiamo tutto!

L’intelligenza artificiale non è fantascienza ma un fertile ramo dell’informatica che prova a creare sistemi in grado di simulare comportamenti intelligenti simili (o superiori) a quelli umani per analizzare dati, risolvere problemi, prendere decisioni in maniera autonoma.

Oggi conosciamo e possiamo sfruttare soprattutto la cosiddetta IA debole o ristretta, che permette di svolgere compiti specifici ma che non ha coscienza o capacità di pensiero, in attesa (o timore?) dell’IA forte o generale che potrebbe essere in grado di svolgere qualsiasi compito intellettuale umano, comprendendo e adattandosi alle situazioni nuove.

Non esistono – per fortuna – ancora IA forti che presentino caratteristiche allarmanti, perché quello che a oggi ancora non esiste è la “capacità d’iniziativa” delle macchine stesse.

Questa è la più grande differenza con un organismo vivente, non necessariamente evoluto. Un gatto può scegliere se alzarsi e che direzione prendere, dove andare. Una macchina – almeno a oggi – non lo può e non lo sa fare. Può reagire, forse meglio di un uomo. Proporre risposte che possono sembrare formulate da un premio Nobel ma non sono capaci di scegliere di chiederci come ci chiamiamo. Macchine precise, efficaci e persino – forse – potenzialmente pericolose ma sempre in funzione di uno stimolo, nella replica a una richiesta.

L’IA può pensare meglio dell’uomo ma non sa o non può ancora scegliere di farlo.

L’incapacità di gestire, regolare e forse anche di comprendere efficacemente la seconda (l’IA “forte”) porta a una stretta normalizzatrice che non blocca lo sviluppo a livello vertiginoso dei modelli mentre, in maniera quasi beffarda, schiaccia l’auspicabile sviluppo dell’IA “debole”.

Chiedere a ChatGPT chi ha ragione in un conflitto bellico o chi sia la squadra più forte nel campionato non ha senso. La risposta – malgrado la straordinaria mole di informazioni accessibili – sarà frutto di un equilibrio concettuale, di regole, che gli uomini stanno provando a dare all’AI e ne cristallizzerà al centro della curva gaussiana il riscontro. Ricordate l’esempio del colore marrone come prodotto di sintesi?

Certo, è meglio di una propaganda falsa che è la paura – a livello di AI debole – che più spaventa la società ma che purtroppo porta anche a continuare ad allontanare da tutti noi gli enormi vantaggi che può e potrebbe apportare.

Il mondo economico utilizza già in maniera importante uno degli strumenti che stanno alla base dell’IA il machine learning, ossia la capacità del sistema di registrare informazioni, apprendere e imparare dalla reiterazione delle azioni compiute. E’ un percorso ormai obbligato che dovremo prendere tutti. Si tratta di strumenti che dobbiamo accogliere perché forieri di risultati straordinari in termini di azzeramento degli errori, di risparmio di costi e fatica, di precisione e accuratezza dei risultati.

Il nostro mondo è fondato sull’assunto dell’esperienza, della statistica, della gestione di dati. I risultati che la AI debole potrebbe portare sono enormi e non devono essere allontanati dal timore.

Nessuno è in grado di fermare il progresso e sfruttarlo per aiutarci a vivere e lavorare meglio, almeno in alcuni segmenti, è fondamentale.

Con l’AI la contabilità non potrà più presentare errori e così come la valutazione della maggior parte dei rischi, la stesura dei contratti o l’applicazione di compliance. Le prospettive sono infinite e davvero vicine, utilizzabili immediatamente.

Certo non può essere ancora utilizzata per lanciare o proporre una copertura assicurativa. A una precisa domanda su uno slogan per vendere polizze, Chat GPT mi ha risposto “Proteggi ciò che conta, vivi senza pensieri: la sicurezza è la tua scelta migliore!”… modesto vero? La iscrivereste in E?

In copertina: L’uomo davanti agli orizzonti dell’intelligenza artificiale (Immagine ideata e realizzata da YouCam AI Pro, il 05.10.2024, in conseguenza della richiesta: #incertezza #orizzonti #sensazione #businessman #AI #paura #speranza #nuovafrontiera)

Usiamo i cookie per darti la migliore esperienza d'uso possibile.