Colpa grave e dipendenti pubblici, proviamo a cambiare punto di vista

A cura dell’Ing.
Marcello Bottazzi

Premetto doverosamente che questo articolo riflette le mie personali opinioni e non coinvolge in alcun modo AIBA, il CTS AIBA di cui faccio parte e la rivista Brokerletter che mi ospita.

Un sentito ringraziamento a Valentina Appiano (Direttore Tecnico Enti Pubblici e Sanità Privata di Aon) che mi ha fornito l’occasione per questo scritto: la sua nota su Linkedin sulla vexata quaestio della “colpa grave” dei dipendenti pubblici, mi ha stimolato a provare a raccontarne la (almeno per me non) breve storia (della colpa grave, non di Valentina), come l’ho vissuta, da più di 40 anni.

In fondo il tema ci è familiare anche perché, stanti le nostre non rinnegabili radici cristiane, la colpa “grave” (quante volte figliuolo?) evoca parrocchiali e catechistiche memorie di gioventù.

La storia però non è fine a sé stessa, è scritta per porre a tutti una domanda che da tempo mi pongo: diamo per scontata ed immutabile la situazione giuridica in corso (quella che Valentina ci ha ricordato), ma siamo sicuri che non possa essere valutata e, se ritenuto opportuno, modificata? Spero che qualcuno voglia aggiungere a sua volta altri dubbi, certezze o riflessioni. Quale broker e risk manager la mia forma mentis è volta a nutrire dubbi: “per sicurezza dubito di tutto” (Cartesio)

Il problema “colpa grave” esiste da ben prima che io abbia iniziato a occuparmene, si tende a dimenticarlo, ma quando si legifera sulla PA normando l’operatività del personale riemerge prontamente, come ai giorni nostri (anno 2024) che vedono il nuovo Codice degli appalti Pubblici ed il Decreto Attuativo della L. 24/2017 (“Gelli”) sulla sanità, questa poi in cima alle preoccupazioni degli italiani, come ci dicono i sondaggi. Ed a questi due settori mi riferirò.

 

La storia

Andiamo con ordine: quondam – anni 80 del XX secolo – quando la RC delle strutture sanitarie si quotava intorno al 3 permille delle retribuzioni, nessuno si poneva il problema. Ex art.1917 c.c. è irrilevante il grado della colpa, stabilito che il fatto non era doloso, l’assicuratore pagava il sinistro senza problemi, le franchigie erano ridicole, le polizze erano ancora in occurence basis! e di “Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa” sui dipendenti non si parlava, mancandone la sostanza.

Poi progressivamente il costo delle polizze RC della PA è cresciuto ed è andato fuori controllo, soprattutto nella sanità, semplicemente perché il rischio era andato fuori controllo (per inciso la parte fondamentale della Legge Gelli è la prima, che obbliga ad instaurare un sistema di risk management, glissons sulla seconda parte con l’obbligo assicurativo che non obbliga).

Torniamo al racconto. Pian piano siamo arrivati così alla fine del millennio e ci siamo inoltrati nel successivo. Di fronte ad un hard market, (progressivamente sempre più hard) ed un selected underwriting, la sanità non sembra capirne la vera ragione, (cioè crede che il problema stia nell’assicurazione, non nell’assenza di risk management), e come reagisce? Verso il mercato assicurativo mette in atto penosi tentativi di acquisto “all’ingrosso” per tamponare gli aumenti con lo “sconto comitiva” (non so come altrimenti chiamarlo); non considero che se l’offerta è scarsa ed altamente selettiva, ed io aggrego la domanda, otterrò di farla scappare del tutto, talvolta il Genio Italico non funziona. Penso che i broker potrebbero tutti raccontare significativi episodi in materia, ex multis uno: la Regione Veneto sta per raggiungere l’obbiettivo della polizza unica regionale, per fortuna arrivano prima i Carabinieri ad eliminare dalla “gara” l’assicuratore (Honi soit qui mal y pense). Dall’altra parte, quella del Contraente Pubblico, il vero problema è raccattare un po’ di soldi sperando che bastino (non basteranno), a tale fine non si trova di meglio che ricordarsi della colpa grave per mettere le mani nelle tasche dei dipendenti della sanità, che contribuiranno con una parte del costo. Questo per la sanità; ho seguito fin dagli anni ’80, molte Aziende Municipalizzate, che, come è noto, un tempo non avevano personalità giuridica (erano gestioni in regime di impresa del Comune di appartenenza, la trasformazione in S.p.A avviene negli anni 90 del XX secolo), nelle loro polizze di RCT il problema della colpa grave dei dipendenti neppure si poneva, e neppure in quelle dei  Comuni, fino a quando, con l’intento lodevole di  garantire la copertura di RC ai dipendenti si è “svegliato il can che dorme”, e con piena eterogenesi dei fini tutti i disposti del rinnovato CCNL  del pubblico dicevano:

 

Art. 38, co.1 CCNL 98/2001 “… copertura assicurativa della r.c. dei dirigenti… salvo le ipotesi di dolo e colpa grave..”

 

Art. 43 CCNL 98/2001 “… copertura assicurativa della r.c. dei dipendenti… salvo le ipotesi di dolo e colpa grave..”

 

Art. 49 CCNL 98/2001 “… copertura assicurativa della r.c. dei segretari comunali e provinciali… salvo le ipotesi di dolo e colpa grave.”

 

Altro fattore che ha molto probabilmente pesato è che in parallelo si è iniziato a creare la “malasanità”, che ha il pregio di fare notizia in un momento in cui la stampa vorrebbe contrastare il proprio perdurante declino, che purtroppo continua, e comunque ad alimentare il fenomeno arrivano i social media.

Come sempre il sonno della ragione genera (piccoli) mostri: un TAR condanna gli amministratori di una USSL perché dalla Kasko, prevista per i dipendenti che utilizzino per servizio il proprio veicolo, non è stata esclusa la colpa grave, il cui costo deve gravare sul singolo, e quantificano la spesa ascrivibile a Danno Erariale nel 10 % del premio, perché – faute de mieux – questa è la % per la estensione “colpa grave” nelle polizze incendio. Perché stupirsi? nel Decreto 232/2023 attuativo della Legge Gelli non è stato forse introdotto – “ispirandosi” alla RCA – il bonus-malus nella RC delle strutture sanitarie, presentando come audace e positiva innovazione la certificazione della propria scarsissima conoscenza in materia. (*)

Ricordo che il Direttore di una ASL sostenne con me che la esclusione della colpa grave doveva essere introdotta anche nella polizza RCA dell’ente. Fortunatamente ebbi buon gioco nel salvarmi replicando che, essendo assicurazione obbligatoria con testo formulato ex lege, non era possibile la modifica.

 

La differenza fondamentale

Normalmente le “aziende” contraggono polizze che coprono (i.e. sono “assicurati”) tutte le persone fisiche attraverso le quali si concreta materialmente l’attività aziendale, (rarissimi i casi in cui l’attività, come lo Spirito Paraclito, promana dal vertice), e funzionano da sempre senza problemi ai sensi dell’Art. 1917 c.c. (è irrilevante il grado della colpa)

Quando una persona fisica accede alla qualifica di “dipendente pubblico” (o meglio “agente”) viene invece afflitta dalla “colpa grave”, è un effetto della norma, e ben sappiamo che cosa dice, ma è indubbio che questa norma generi un problema effettivo, non mi interessa indagarne la substantia, perché tutti gli accidenti, cioè tutti i tentativi di risolverlo, ne confermano l’esistenza.

 

I Tentativi di risolvere il problema

Da una parte si prova a mitigarlo a monte calmierando il costo che grava sul dipendente; qualcuno ricorda e.g. quel CCNL dei medici che con una clausola formulata nel miglior sindacalese, (necessitò un’interpretazione autentica) stabiliva una trattenuta di max.  £50k/mese sullo stipendio?

La legge Gelli agisce invece a valle (ma solo nella sanità) limitando il quantum delle rivalse sul singolo, ovviamente l’effetto si farà poi sentire sul costo a monte.

Ci sarà una ragione se nel periodo 2011-2022 i premi assicurativi relativi al personale sanitario hanno visto un +57,9% ed il numero degli assicurati un +98,1 %, (e con rapporto sinistri/premi ben < 50%), mentre i premi delle strutture pubbliche diminuivano del 46,7 %. (dati esposti al convegno del 29/4/2024 alla Regione Lombardia)

L’obiezione fondamentale che penso sorgerà è: perché solo nella sanità? gli altri dipendenti pubblici non devono beneficiare di limitazioni del quantum?

Il nuovo Codice degli Appalti (D.L. 36/2023), ignora il risk based approach (ISO 9001/2015) e, come il precedente, si limita (command and control) a prescrivere polizze assicurative (schemi tipo DM 193/2022). In queste “prescrizioni” si vorrebbe leggere qualche spiraglio ad un’adeguata copertura assicurativa dei dipendenti pubblici, e.g. cfr. Articolo 2. Principio della fiducia. c 4 “… le stazioni appaltanti e gli enti concedenti adottano azioni per la copertura assicurativa dei rischi per il personale…”

Il parere MIT 2329/2024 Oggetto “obbligo di assicurazione per i dipendenti che svolgono mansioni tecniche art. 2 c.4 e art.45 c.7 D.lgs 36/23”   include tutte le figure (tra le quali il RUP) di cui all’ALLEGATO I.10  (Attività Tecniche a carico degli stanziamenti …. Articolo 45 c.1 del Codice ) e “ce prova” (come direbbero a Roma) a ricomprendere la colpa grave. Purtroppo, come giustamente evidenziava Valentina Appiano, nella nota che ha dato origine al mio scritto, la situazione sotto il profilo legale è chiara, ed un parere MIT non può certo elevarsi a ius superveniens, capovolgendo la gerarchia delle fonti.

Per la verità un tentativo, poi frustrato, c’era già stato illo tempore con la finanziaria 2001 (L. 23/12/2000 n. 388) che all’art. 145 c. 89. Così recitava: “All’articolo 17, comma 3, della legge 11 febbraio 1994, n. 109, (la c.d. “Merloni) e successive modificazioni, dopo le parole: “il regolamento definisce i limiti e le modalità per la stipulazione”, sono inserite le seguenti: “per intero“.  Perché la Merloni prevedeva il rimborso solamente di 2/3 del premio della RC Professionale (escludente il solo dolo) al progettista dipendente pubblico.

 

L’approccio “aziendale”

Ad un certo punto si è decretata la trasformazione delle strutture pubbliche in “Aziende” e premessa una A in tutte le sigle (da USSL ad AUSSL et similia), per significare la svolta che si voleva imprimere alla gestione delle strutture sanitarie verso una “aziendale” efficienza, (la riforma “nominalistica” è una italica eccellenza).

Quindi con approccio “aziendale” consideriamo la situazione generale della sanità, ma gli altri settori della PA non stanno meglio: come datore di lavoro ho responsabilità in eligendo ed in vigilando (e soprattutto in organizzando), l’organico è carente, quindi turni massacranti, per tacere delle paghe. Dopo sperticate lodi ai dipendenti per la loro abnegazione – durante il COVID 19, per tutelare la salute pubblica hanno assunto rischi in condizioni eccezionali – che faccio per ricompensarli e motivarli?  Continuo a pagarli molto meno dei colleghi europei, e come incentivo dico loro che se la colpa è “grave” mi spiace, ma sono fatti vostri e dovete assicurarvi in proprio (cioè dal vostro stipendio netto) per il Danno Erariale e le rivalse.

 

E siate contenti di potervi assicurare, a vostre spese, perché la quaestio subtilissima che debatuta fuit per adeguato tempo, è stata risolta stabilendo che la Responsabilità per Danno Erariale ha anche natura risarcitoria, perché se la natura fosse stata solo sanzionatoria addio assicurabilità. (non so perché mi viene in mente il primo concilio di Nicea -325 dC – sulla “natura” del Cristo)

Questo quando gli specialisti di Risk Management in sanità sanno che il 90 % delle richieste di risarcimento deriva da problemi organizzativi, pensiamo e.g. alle infezioni nosocomiali.

Noi invece della ricerca delle cause che hanno portato all’errore (root cause analysis come insegnano ai corsi di Risk Management) preferiamo la ricerca del (grave) colpevole: in fondo “un buon capro espiatorio vale quasi quanto una soluzione” (dice una delle leggi di Murphy).

Che direste di un’azienda che governasse il personale in questo modo? Lavora per me, ricerca l’eccellenza e rischierai in proprio, ma ti concedo la possibilità di assicurarti – ovviamente dal tuo magro stipendio. In questo modo le mie azioni per il Danno Erariale e le rivalse troveranno di che soddisfarsi, perché so bene che, con la paga che ti do, non navigherai certo nell’oro. Un bel claim, come dicono i pubblicitari, per attirare e tenere i migliori talenti, non trovate?

 

Il vero problema è il governo del personale

Se il “rispondi personalmente in caso di dolo –ovvio– e di colpa grave” è considerato la modalità giusta ed efficace per il governo del personale, tanto da essere considerata immutabile, mi chiedo perché non sia stata adottata anche nel privato.  (provate ad immaginare l’applicazione ai piloti dell’aviazione civile, vorrei tanto vedere il calcolo del premio per la colpa grave dei singoli)

Che forse non funzioni così bene lo sa anche il legislatore, che cerca di modificarla “scientificamente”. Negli esperimenti scientifici sono le “condizioni al contorno” che determinano il risultato e quindi basta cambiare quelle.

In poche parole, è più pratico svuotare pian piano la norma. Questo per i dipendenti, mentre chi detiene il potere medio tempore sforna per le cariche di nomina politica (e.g. “Commissari”) una deregulation à la carte che le provvede di scudi erariali, deroghe al Codice degli appalti, esenzioni dai controlli, limitazioni del potere ispettivo della CdC sul PNRR, etc., ed in campo penale ha cancellato pro domo sua l‘ “abuso d’ufficio”. Il motivo: la “paura della firma”, che, inerente a cariche volontariamente assunte, per me significa volersi sottrarre al principio del cuius commoda eius et incommoda.

Iniziamo con la prova del dolo. Già per effetto della riforma del 1996 (L. n. 639), la responsabilità per Danno Erariale (dei soggetti sottoposti alla Corte dei Conti) era stata limitata ai soli comportamenti posti in essere con “dolo o colpa grave“; Il COVID fornisce un’altra occasione subito colta Nello specifico, sub art. 21, comma 1, D.L. n. 76/2020, (c.d. semplificazioni) viene integrato il disposto dell’art. 1, comma 1, della L. n. 20/1994  e basta introdurre una frase: “la prova del dolo richiede la dimostrazione della volontà dell’evento dannoso“.

Quasi che per il dolo per così dire “erariale” si debba dimostrare che “volli, e volli sempre, e fortissimamente volli” quell’azione o omissione contra legem.  Nulla di nuovo in fondo, abbiamo appreso al catechismo che il peccato grave richiede scienza, coscienza e volontà. Non dimentichiamo che un indaffarato ministro non si è accorto che, al rogito per un appartamento con vista Colosseo, qualcun altro ha pagato al posto suo, ed i malpensanti per questa banale sbadataggine avanzavano ipotesi di corruzione.

Naturalmente sono emergenziali disposizioni provvisorie, il dettato costituzionale è chiaro, ma sappiamo bene quanto in Italia sia durevole il provvisorio, (lo “scudo erariale” del 2020 è già prorogato a fine 2024) l’importante è iniziare, queste cose si fanno a piccoli passi.

E per stabilire se è grave (la colpa) “… si tiene conto delle situazioni di fatto di particolare difficoltà, anche di natura organizzativa, della struttura sanitaria o sociosanitaria pubblica, in cui l’esercente la professione sanitaria ha operato…”. L. 24/2017 Art. 9 Azione di rivalsa o di responsabilità amministrativa c. 5. (vale la pena, e mi riprometto di farlo, di ritornare in futuro su questo articolo, ne fornisce l’occasione la sentenza della Cassazione civile, sezioni Unite, n. 17634 del 26 giugno 2024.

Che lo Stato si sia reso conto che, come organizzatore, ha ampi margini di miglioramento? (e non solo nella sanità).

Progressivamente lo spauracchio della colpa grave (vista, credo, come solo modo di agire su un personale altrimenti – allora – inamovibile) diverrà come uno spaventapasseri che, visto da vicino, rivela di essere un inoffensivo insieme di stracci.

Il, direi, temerario tentativo del parere MIT di andare direttamente al risultato, non tiene conto delle raffinatezze burocratiche e della gradualità necessarie in questi percorsi.

La mia condizione non certo di giurista, ma di modesto causidico, mi suggerisce di astenermi dal dibattere oltre su un tema così delicato.

Stavo per concludere così questo articolo quando sull’argomento è intervenuta, con l’autorevolezza che le compete, la Corte Costituzionale con la sentenza N. 132 /2024 **. Sono 24 pagg., un po’ ripetitive, ma leggendo mi sono accorto che conferma gran parte di ciò che ho scritto, e stabilisce una serie di “punti fermi” che mi sembrano di grande interesse per i broker.

Innanzitutto, tratteggia molto utilmente (cap 5) “le caratteristiche salienti della responsabilità amministrativa dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti”.  Sempre utili per i “non giuristi” quorum ego.

Poi delinea (cap 6.5 -7° capoverso) lo scenario “Da un lato, il pluralismo sociale e il pluralismo istituzionale si proiettano nei procedimenti amministrativi e nelle istituzioni pubbliche, rendendo sempre più problematica ed esposta alla contestazione la ponderazione di tali interessi in cui si risolve l’esercizio della discrezionalità amministrativa. Dall’altro, vi è il moltiplicarsi dei rischi provocati dalla stessa attività umana e che spesso sono conseguenze non intenzionali dello sviluppo tecnologico ed economico (rischi ambientali, sanitari, connessi al clima, legati alle dinamiche delle catene globali del valore, finanziari, inerenti alla sicurezza pubblica, et cetera). Sull’agente pubblico si scarica così la difficile scelta tra quale delle due esigenze privilegiare: l’esigenza di precauzione, con i suoi costi, ovvero quella di favorire l’iniziativa economica, la creazione di posti di lavoro, la raccolta di risorse sui mercati finanziari, e cioè tutte attività che, in caso di concretizzazione di qualcuno dei rischi menzionati, sono suscettibili di cagionare danni all’amministrazione e alla collettività.

Sembrerebbe adottare il “risk based approach” ” (cap. 1.2  capoverso 11°) ove, citando sue precedenti sentenze, afferma che la limitazione della “responsabilità «amministrativa/erariale» alle ipotesi di dolo e colpa grave” , risponde «alla finalità di determinare quanto del rischio dell’attività debba restare a carico dell’apparato e quanto a carico del dipendente, nella ricerca di un punto di equilibrio tale da rendere, per dipendenti ed amministratori pubblici, la prospettiva della responsabilità ragione di stimolo, e non di disincentivo» Ed afferma nel capoverso successivo che “la colpa grave costituirebbe per la responsabilità amministrativa «il minimum individuato, ovvero il punto di equilibrio in un generale sistema della responsabilità fondato sulla colpa e sul dolo»  Dato che ho una certa familiarità con analisi e ripartizione dei rischi, ho qualche perplessità: come posso definire punto di equilibrio ciò che viene da uno dei due autoritativamente stabilito, inaudita altera parte? E.g. già nel 2004 Eurostat raccomandava una “Attenta valutazione ed allocazione dei rischi, con metodi quantitativi adeguati”; si è tenuto conto della enorme, incalcolabile, sproporzione tra i due soggetti, quando il più forte stabilisce il “minimum” a carico del più debole?

La Consulta però sembra rendersi conto della situazione perché (cfr. cap 6.6.) dice “Il consolidamento dell’amministrazione di risultato e i profondi mutamenti del contesto in cui essa opera giustificano la ricerca legislativa di nuovi punti di equilibrio che riducano la quantità di rischio dell’attività che grava sull’agente pubblico, in modo che il regime della responsabilità, nel suo complesso, non funga da disincentivo all’azione”.   (anche cfr. cap.11)

Nel 2023 dopo l’emanazione del Nuovo Codice dei contratti pubblici (D.lgs 31 marzo 2023, n. 36) in un convegno dell’OSSERVATORIO SUI CONTRATTI PUBBLICI E LA SOSTENIBILITÀ della Bocconi, eminenti relatori avvisavano del rischio che quello del “risultato” divenisse una sorta di Superprincipio al quale tutto subordinare. (come se prima si facesse tanto per fare NDR). Ne abbiamo conferma nella sentenza in commento (cfr. e.g. cap.6.4)

La sentenza conclude (cap. 11) che “una complessiva riforma della responsabilità amministrativa è richiesta per ristabilire una coerenza tra la sua disciplina e le più volte richiamate trasformazioni dell’amministrazione e del contesto in cui essa deve operare”.  Ed “Il legislatore non potrà limitare, come si è avuto cura di puntualizzare, l’elemento soggettivo al dolo” questa limitazione può essere solo una “disciplina provvisoria”, ma soccorre la prorogatio, una ragione si trova sempre, prima il Covid, ora la realizzazione del PNRR, seguono, a scelta, ricorrenza del Giubileo, Olimpiadi Invernali (e l’ho sfangata fino a fine 2026), poi congiunzioni astrali, catastrofi naturali etc.  Medio tempore si potrà mettere in atto quello svuotamento progressivo che ho menzionato, inserendo in un disegno organico le misure prima adottate in ordine sparso, e cioè:  la tipizzazione della colpa grave, l’introduzione del limite massimo (e.g. legge Gelli) “per ragioni di equità nella ripartizione del rischio”  (era un punto di equilibrio, ma poco equo, sic!); altra misura è “una eccezionale esclusione della responsabilità colposa per specifiche categorie di pubblici dipendenti”  con le intuibili complicazioni perché deve avvenire “in ragione della particolare complessità delle loro funzioni o mansioni e/o del connesso elevato rischioChi farà le analisi di rischio? Prevedibili contenziosi tra categorie di dipendenti pubblici.

E finalmente arriviamo alle polizze assicurative quelle “per colpa grave” nel gergo assicurativo. La Consulta certifica che sono “nell’interesse sia dell’agente pubblico che della stessa amministrazione danneggiata”, e che possono essere incentivate, ma sappiamo che non un euro del premio può essere pagato dall’Amministrazione (sarebbe Danno Erariale ce lo ha ben ricordato Valentina). Quindi l’amministrazione ha un interesse (assicurabile), ma la giurisprudenza dice che non può pagare il premio (o parte), che compete al solo assicurato. Come incentivarlo? Il genio italico avrà modo di esplicarsi.

E pensare che basterebbe sanare una evidente disparità di trattamento, e stabilire che i circa 3,5 M di dipendenti pubblici possono essere “assicurati”, così come i circa 17 M di dipendenti del settore privato, nelle polizze RCT dell’attività che escludono solamente il dolo.

Sarebbe risolto il problema del danno indiretto, quello derivante dal risarcimento che l’Amministrazione ha pagato al terzo, mentre resterebbe il problema del danno direttamente arrecato all’amministrazione, come nel caso all’origine della sentenza de quo, (una sottrazione di fondi), ma sarebbe già un grande passo avanti.

Pensate a quante complicazioni verrebbero eliminate nel funzionamento delle polizze RCT, quando ci sono; e se nella sanità (od in altri settori) una struttura adotta le analoghe misure? Ne parleremo un’altra volta.

Marcello Bottazzi

(*) e.g. da dati IVASS risulta che la  I tempi di liquidazione che caratterizzano la r.c. sanitaria sono molto lunghi, appena il 9% dei sinistri sono liquidati nell’anno di denuncia.
Mentre per la RC Auto I sinistri gestiti accaduti nel 2022 presentano una velocità di liquidazione del 72,9%, in aumento rispetto al 2021 (69,2%). Entro il secondo anno successivo a quello di accadimento, le imprese riescono a liquidare il 96,1% dei sinistri. (Bollettino Statistico Anno XI – n. 1, gennaio 2024).
Prendendo il dato 2021 (disponibile nel 2023) il semplice confronto (velocità di liquidazione RC Auto 7,7 volte superiore), avrebbe dovuto bastare a comprendere la differente natura dei due rischi e sconsigliare impraticabili ispirazioni o “parallelismi”.

 

** nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 21, comma 2, del decreto-legge 16 luglio 2020, n. 76 (Misure urgenti per la semplificazione e l’innovazione digitale), convertito, con modificazioni, nella legge 11 settembre 2020, n. 120, promosso dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la Regione Campania, nel giudizio di responsabilità a carico di T. T. e altri, con ordinanza del 18 dicembre 2023,… omissis.

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